Nella storia che sto per raccontarvi ci sono dei nostri vecchi amici, i due bosoni di gauge W, il Z, il fotone e gli otto gluoni. Per una trattazione coerente e logica, occorre fare un passo indietro rispetto alla Grande Unificazione, e ricordare brevemente come si è arrivati alla costruzione della teoria elettrodebole.
Apparentemente, infatti, l'interazione elettromagnetica e quella debole non hanno niente in comune: la prima ha un raggio d'azione infinito, è mediata da particelle senza massa (i fotoni) che interagiscono con qualsiasi cosa che possieda carica elettrica e non producono nessun cambiamento, tantomeno violano qualche simmetria. Al contrario, l'interazione debole ha un raggio d'azione ancora più piccolo di quello dell'interazione forte, è mediata da particelle con una massa molto elevata e, durante le interazioni, violano la parità.
Tuttavia, nonostante tutte queste differenze, entrambe possono essere descritte con la teoria dei campi (QFT), la quale sostiene che la forza viene portata da delle particelle che vengono emesse e assorbite. In QFT, ve l'avevo già detto, l'intensità della forza tra due particelle è proporzionale all'ampiezza di probabilità di ciascun evento (in un processo semplice abbiamo tre ampiezze: quella per l'emissione del mediatore, quella del mediatore stesso e quella dell'altra particella che assorbe il mediatore). In questo tutte le teorie delle interazioni fondamentali si assomigliano. Quindi un semplice ragionamento potrebbe essere quello di dire: forse l'ampiezza per l'emissione di un W non è poi così diversa da quella per l'emissione di un fotone, solamente che, essendo il W molto massiccio, non fa molta strada e non viene scambiato così di frequente come il fotone. Anche se sembra superficiale, questo semplice ragionamento sta alla base dell'idea di unificazione elettrodebole.
Infatti, l'idea di base della QFT applicata alle interazioni fondamentali costituisce quelle che si chiamano teorie di Yang-Mills, nelle quali una particella si trasforma in un'altra con l'emissione o l'assorbimento di un bosone di gauge. E' evidente, quindi, che entrambe queste interazioni possono essere descritte con questo formalismo.
Ora, c'è ancora una cosa da fare: assegnare un gruppo di simmetria, dal momento che la scelta del gruppo determina il numero di bosoni di gauge che prendono parte all'interazione. La prima proposta è stata di adottare il gruppo SU(2), ma non funzionava perché l'interazione debole ha delle leggi di simmetria un po' più strane di quelle del suddetto gruppo. Allora, l'altra scelta più semplice era il gruppo SU(2) x U(1), che fondamentalmente è come SU(2) ma con qualche trasformazione di simmetria in più.
Tale gruppo presenta subito una difficoltà: ammette cioè un bosone di gauge aggiuntivo, chiamato Z. La teoria vincola l'esistenza di questo bosone e dice che se viene scambiato uno Z, la particella non cambia ma viene violata la parità ugualmente. Insomma, lo Z è come il fotone ma in più esso viola la parità.
A questo punto c'era ancora una questione da risolvere: essendo una teoria di gauge, si richiedeva che i bosoni di gauge fossero con massa nulla, così come nel caso del fotone. Ci voleva qualcosa che donasse massa ai bosoni di gauge e quel qualcosa non era altro che la rottura spontanea di simmetria: il nostro meccanismo di Higgs.
Weinberg e Salam, indipendentemente, hanno applicato tale meccanismo alle teorie elettromagnetica e debole e, nel modo che vi ho spiegato l'altro giorno, riuscirono a far diventare massivi i W e Z e allo stesso tempo mantenere invariata la situazione per il fotone.
In particolare il fotone, il W e lo Z sono fratelli, solo che gli ultimi due per energie basse sono massivi perché intercettati dal campo di Higgs, mentre il primo non risente di tale campo, essendo la carica del fotone elettrica e quella dell'Higgs debole.
Avendo notato questo, che le interazioni elettromagnetiche e quelle deboli sono in realtà la stessa cosa a energie elevate, ci si è chiesto, in un modo abbastanza naturale, se anche l'interazione forte potesse rientrare in questo schema. In effetti, siccome le costanti di accoppiamento non sono affatto costanti ma dipendono dall'energia, è plausibile cercare un punto d'unione tra le tre teorie. L'energia richiesta per questa unione è veramente altissima, si parla di circa un milione di miliardi di GeV (10^15 GeV).
Vogliamo dunque riunire il fotone, il W, lo Z e gli otto gluoni in una singola teoria di Yang-Mills. I primi tre sono descritti dal gruppo SU(2) x U(1), mentre gli altri sono guidati dal SU(3). Il primo gruppo trasforma due oggetti in altri due oggetti, mentre il secondo trasforma tre oggetti in altri tre. Basta fare 3 + 2 = 5. Eccolo: SU(5).
Apparentemente, infatti, l'interazione elettromagnetica e quella debole non hanno niente in comune: la prima ha un raggio d'azione infinito, è mediata da particelle senza massa (i fotoni) che interagiscono con qualsiasi cosa che possieda carica elettrica e non producono nessun cambiamento, tantomeno violano qualche simmetria. Al contrario, l'interazione debole ha un raggio d'azione ancora più piccolo di quello dell'interazione forte, è mediata da particelle con una massa molto elevata e, durante le interazioni, violano la parità.
Tuttavia, nonostante tutte queste differenze, entrambe possono essere descritte con la teoria dei campi (QFT), la quale sostiene che la forza viene portata da delle particelle che vengono emesse e assorbite. In QFT, ve l'avevo già detto, l'intensità della forza tra due particelle è proporzionale all'ampiezza di probabilità di ciascun evento (in un processo semplice abbiamo tre ampiezze: quella per l'emissione del mediatore, quella del mediatore stesso e quella dell'altra particella che assorbe il mediatore). In questo tutte le teorie delle interazioni fondamentali si assomigliano. Quindi un semplice ragionamento potrebbe essere quello di dire: forse l'ampiezza per l'emissione di un W non è poi così diversa da quella per l'emissione di un fotone, solamente che, essendo il W molto massiccio, non fa molta strada e non viene scambiato così di frequente come il fotone. Anche se sembra superficiale, questo semplice ragionamento sta alla base dell'idea di unificazione elettrodebole.
Infatti, l'idea di base della QFT applicata alle interazioni fondamentali costituisce quelle che si chiamano teorie di Yang-Mills, nelle quali una particella si trasforma in un'altra con l'emissione o l'assorbimento di un bosone di gauge. E' evidente, quindi, che entrambe queste interazioni possono essere descritte con questo formalismo.
Ora, c'è ancora una cosa da fare: assegnare un gruppo di simmetria, dal momento che la scelta del gruppo determina il numero di bosoni di gauge che prendono parte all'interazione. La prima proposta è stata di adottare il gruppo SU(2), ma non funzionava perché l'interazione debole ha delle leggi di simmetria un po' più strane di quelle del suddetto gruppo. Allora, l'altra scelta più semplice era il gruppo SU(2) x U(1), che fondamentalmente è come SU(2) ma con qualche trasformazione di simmetria in più.
Tale gruppo presenta subito una difficoltà: ammette cioè un bosone di gauge aggiuntivo, chiamato Z. La teoria vincola l'esistenza di questo bosone e dice che se viene scambiato uno Z, la particella non cambia ma viene violata la parità ugualmente. Insomma, lo Z è come il fotone ma in più esso viola la parità.
A questo punto c'era ancora una questione da risolvere: essendo una teoria di gauge, si richiedeva che i bosoni di gauge fossero con massa nulla, così come nel caso del fotone. Ci voleva qualcosa che donasse massa ai bosoni di gauge e quel qualcosa non era altro che la rottura spontanea di simmetria: il nostro meccanismo di Higgs.
Weinberg e Salam, indipendentemente, hanno applicato tale meccanismo alle teorie elettromagnetica e debole e, nel modo che vi ho spiegato l'altro giorno, riuscirono a far diventare massivi i W e Z e allo stesso tempo mantenere invariata la situazione per il fotone.
In particolare il fotone, il W e lo Z sono fratelli, solo che gli ultimi due per energie basse sono massivi perché intercettati dal campo di Higgs, mentre il primo non risente di tale campo, essendo la carica del fotone elettrica e quella dell'Higgs debole.
Avendo notato questo, che le interazioni elettromagnetiche e quelle deboli sono in realtà la stessa cosa a energie elevate, ci si è chiesto, in un modo abbastanza naturale, se anche l'interazione forte potesse rientrare in questo schema. In effetti, siccome le costanti di accoppiamento non sono affatto costanti ma dipendono dall'energia, è plausibile cercare un punto d'unione tra le tre teorie. L'energia richiesta per questa unione è veramente altissima, si parla di circa un milione di miliardi di GeV (10^15 GeV).
Vogliamo dunque riunire il fotone, il W, lo Z e gli otto gluoni in una singola teoria di Yang-Mills. I primi tre sono descritti dal gruppo SU(2) x U(1), mentre gli altri sono guidati dal SU(3). Il primo gruppo trasforma due oggetti in altri due oggetti, mentre il secondo trasforma tre oggetti in altri tre. Basta fare 3 + 2 = 5. Eccolo: SU(5).
7 commenti:
basta fare 3+2 8(*)
ma questa roba la latexizzi in un unicum?
Vuoi che lo faccia? Se lo vuoi lo faccio. Magari anche con qualche bella dimostrazione della teoria dei gruppi...
tenerla solo sul blog mi sembra uno spreco...
Molto bene.
Io sarei disposto a darti dei soldi per averla. Soldi del Monopoli, ovviamente.
Vista la crisi, Filippo, direi che vanno più che bene. Allora mi metto sotto e faccio un bel pdf. Il problema sarà poi metterlo in rete, ma a quello ci penserò dopo.
fotocopie dei soldi del monopoli fatte con la tessera delle fotocopie di roberto quello delle fotocopie.
nel senso, continua sul blog, ma riusnisci anche tutto in un unico pdf, tipo le dezzele's lectures for robert the fake.
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