Riprendiamo il discorso che avevamo iniziato alcuni migliaia di post fa sulle interazioni fondamentali. Eravamo arrivati alla descrizione di quella elettromagnetica e mi pare di avervi detto che essa viene mediata dal fotone. Ebbene, dal momento in cui questo concetto si rivelerà molto importante per la descrizione della teoria elettrodebole, è bene che vi spiego cosa si intende con questo termine. Prendete, ad esempio, due elettroni e fateli scontrare frontalmente. Se l’energia dei due elettroni non è eccessivamente elevata, dopo l’urto (che sarà di tipo elastico, ovvero i due elettroni “rimbalzano” e poi si separano) avremo ancora due elettroni le cui direzioni saranno diverse a seconda delle direzioni che avevano prima dell’urto. E fin qui niente di scandaloso, spero. Bene. Ora vi dico che possiamo vedere questo urto in due modi: il primo, e forse il più intuitivo, è quello appena menzionato: consideriamo un’interazione puntiforme, ovvero assumiamo che lo scontro tra le due particelle avvenga in un punto. Questo è il modo di vedere le cose di Enrico Fermi: quando i due elettroni si urtano la costante di accoppiamento che determina la “forza” dell’interazione vale \alpha. L’altro metodo è un poco meno intuitivo ma è molto più comodo quando si vanno a fare i calcoli. Essenzialmente questo metodo consiste nel considerare l’urto non come puntiforme ma come uno scambio di energia. Mi spiego meglio. Ciascun elettrone porta con sé una determinata quantità di energia (ad esempio la somma di quella cinetica e a riposo). L’urto, in pratica, è un trasferimento di energia tra i due elettroni, uno scambio insomma. Questo scambio adesso non avviene più direttamente tra i due elettroni (come nella visione di Fermi) ma si assume che l’energia scambiata venga trasportata da un fotone virtuale: in pratica, quando l’elettrone 1 interagisce con il 2, emette un fotone, che ha l’energia dell’elettrone 1, che viene assorbito dall’elettrone 2. La parola “virtuale” sta a significare proprio questo: il fotone non esiste davvero, ma è come se ci fosse. Questa visione delle cose implica che avvengano non una ma due interazioni: l’emissione del fotone virtuale e il suo assorbimento. In questo caso ad ogni interazione è associata la radice quadrata della costante \alpha. Questa assegnazione prende il nome di ampiezza di probabilità e, come tutte le probabilità, va moltiplicata per le ampiezze relative a tutte le altre interazioni. Con due interazioni otteniamo di nuovo la costante \alpha. Tal modo di vedere le interazioni come scambio di fotoni (o in genere di altre particelle) venne ideata dal grande Richard P. Feynman. Si capisce quindi che questa nuova ottica semplifica di molto i calcoli: basta tracciare un diagramma dell’urto (detti diagrammi di Feynman) e moltiplicare tra di loro i vari termini corrispondenti a ciascun vertice. La ampiezza di probabilità totale è il prodotto delle ampiezze di ciascuna interazione. Tutto ciò non è altro che la teoria quantistica dei campi: ad ogni particella è associato un campo e le interazioni del campo di questa particella con gli altri campi delle altre particelle avvengono mediante lo scambio dei quanti del campo. Ogni forza fondamentale ha un suo (o dei suoi) quanti: essi trasmettono l’informazione portata dalla particella corrispondente e la trasferiscono alle altre. E’ chiaro che le cose sono tremendamente più complesse di così, ma per ora ci basta (vi basta) sapere queste nozioni base per il proseguo della nostra trattazione.
Riassumendo, dunque, i fotoni sono i quanti di scambio dell’interazione elettromagnetica. Essi sono bosoni e non hanno carica elettrica.
Prendiamo adesso un neutrone: è noto fin dai tempi più antichi che questa particella ha una vita media di circa un quarto d’ora. Dopo questo mirabile intervallo di tempo essa decade in un protone, un elettrone e un antineutrino dell’elettrone. Forse vi avevo detto che i protoni e i neutroni sono composti da quark. Se non ve l’avevo detto, adesso lo sapete. Più precisamente il neutrone è formato da un quark di tipo u e due di tipo d. Il protone invece è costituito da due quark u e da un d. Risulta evidente, quindi, che nel decadimento sopraccitato (detto convenzionalmente decadimento beta) avviene la trasformazione di un quark d in uno u, con l’emissione aggiuntiva di due leptoni (così si chiamano gli elettroni e i suoi neutrini). Tale decadimento avviene in seguito ad una interazione di tipo debole: il quark d emette un bosone W- (il quanto, che assieme al compagno W+ e al Z0 media le interazioni deboli) e si trasforma in un quark u. Il bosone W- a sua volta decade in un elettrone e in antineutrino. Adesso sappiamo un’altra cosa: le interazione deboli vengono mediate da tre bosoni (massivi) che sono i due carichi W- e W+ e quello neutro, il Z0 . Processi che coinvolgono i bosoni W(+-) si chiamano processi deboli da corrente carica, e quelli che coinvolgono lo Z0 sono i processi deboli da corrente neutra. Vi dico, e poi mi fermo, che i processi deboli da correnti carica violano massimamente la parità, ossia non sono invarianti per riflessione speculare. Beh, mi pare di avervi dato molte nozioni in questo post, per cui concludo qui. Rimando al prossimo la spiegazione del concetto di violazione della parità e dell’unificazione elettrodebole.
Adesso mi metto a studiare seriamente, nonostante sia una domenica di sole.
Riassumendo, dunque, i fotoni sono i quanti di scambio dell’interazione elettromagnetica. Essi sono bosoni e non hanno carica elettrica.
Prendiamo adesso un neutrone: è noto fin dai tempi più antichi che questa particella ha una vita media di circa un quarto d’ora. Dopo questo mirabile intervallo di tempo essa decade in un protone, un elettrone e un antineutrino dell’elettrone. Forse vi avevo detto che i protoni e i neutroni sono composti da quark. Se non ve l’avevo detto, adesso lo sapete. Più precisamente il neutrone è formato da un quark di tipo u e due di tipo d. Il protone invece è costituito da due quark u e da un d. Risulta evidente, quindi, che nel decadimento sopraccitato (detto convenzionalmente decadimento beta) avviene la trasformazione di un quark d in uno u, con l’emissione aggiuntiva di due leptoni (così si chiamano gli elettroni e i suoi neutrini). Tale decadimento avviene in seguito ad una interazione di tipo debole: il quark d emette un bosone W- (il quanto, che assieme al compagno W+ e al Z0 media le interazioni deboli) e si trasforma in un quark u. Il bosone W- a sua volta decade in un elettrone e in antineutrino. Adesso sappiamo un’altra cosa: le interazione deboli vengono mediate da tre bosoni (massivi) che sono i due carichi W- e W+ e quello neutro, il Z0 . Processi che coinvolgono i bosoni W(+-) si chiamano processi deboli da corrente carica, e quelli che coinvolgono lo Z0 sono i processi deboli da corrente neutra. Vi dico, e poi mi fermo, che i processi deboli da correnti carica violano massimamente la parità, ossia non sono invarianti per riflessione speculare. Beh, mi pare di avervi dato molte nozioni in questo post, per cui concludo qui. Rimando al prossimo la spiegazione del concetto di violazione della parità e dell’unificazione elettrodebole.
Adesso mi metto a studiare seriamente, nonostante sia una domenica di sole.
5 commenti:
vedo che anche a te nn passa tanto...
Proprio niente.
La parola "elettrodebole" è così bella che secondo me la Natura non ha resistito e ha dovuto unificare le due interazioni. E già che c'era (>1E15 GeV) ha deciso di unificare anche le altre. Bella questa idea: quasi quasi ci scrivo una cosmicomica. [Ah, complimenti per la tesina. Non so se ci sei o ci fai, ma sicuramente sfoggi una comprensione non indifferente della materia ("materia" in senso accademico).]
A proposito di tesine....qualcuno si è dimenticato di spedirmela....ma non voglio fare nomi. W chicco.
Ok BH, mo' te la mando...
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