venerdì 1 giugno 2007

Il pretesto finale di Dee

Finalmente, miei cari lettori, siamo arrivati alla fine di questo tortuoso percorso cominciato quasi un mese fa sulle interazioni fondamentali. Questo è l'ultimo post in materia e prometto che non sentirete parlare di queste cose per un po' di tempo: abbiate pazienza, vi chiedo un ultimo sforzo.
Ho detto, alcuni migliaia di post fa, che l’interazione elettromagnetica è mediata dal fotone e che questo ha massa nulla, mentre le interazioni deboli sono mediate anch’essa da dei bosoni che però hanno una massa considerevole. In sostanza si vede già da questo che le due cose hanno qualcosa in comune: entrambe le interazioni sono mediate da bosoni, ovvero da particelle che obbediscono alla medesima statistica (quella di Bose-Einstein, se ben vi ricordate). Già questo potrebbe fare pensare che in realtà non siano poi così tanto diverse queste due interazioni. E infatti è così: ho detto che nell’interazione debole i bosoni che portano carica elettrica sono due, il W+ e il W-. Ebbene, viene naturale pensare che esista anche un W neutro, e questo viene richiesto dalla conservazione di una quantità molto usata in fisica nucleare, l’isospin debole: prendete il protone (p) ed il neutrone (n); entrambi stanno nel nucleo e vengono per questo chiamati nucleoni. Un nucleone, che può essere un p o un n, ha isospin pari ad ½, nel senso che può trovarsi in due stati possibili. Analogamente, nelle interazioni deboli c’è un isospin relativo ai W(+-) e Z, che valgono rispettivamente 1 e 0. E’ di particolare interesse il valore che assume la componente relativa all’asse z dell’isospin; nel caso del W+ essa vale +1 e per il W- è -1. Ci si aspetta, dunque, anche uno stato con componente z dell’isospin relativo ai W che sia 0, ovvero uno stato I = 1, I_z = 0, e tale stato si indica con W0, ovvero un W neutro. Questo però non deve trarre in inganno: il W0 appena definito non è assolutamente uguale allo Z0, in quanto l’accoppiamento di quest’ultimo dipende dalla carica elettrica. Deve esistere dunque un bosone che sia uno stato di singoletto, ovvero con I = 0 e I_z = 0, e tale bosone si indica con B0. Dal punto di vista sperimentale, si conoscono soltanto due tipi di bosoni neutri, ovvero il nostro affezionato fotone e lo Z0 che ormai conosciamo. In pratica, quello che hanno fatto Weinberg e soci – e qui veniamo finalmente al succo del discorso di tutti questi dannati post – è stato di esprimere il fotone e lo Z0 come combinazione lineare degli stati B0 e W0; in quest’ottica il fotone e lo Z0 sono descritti da funzioni d’onda fra loro ortogonali e i coefficienti della combinazione lineare sono le seni e i coseni di un angolo detto angolo di Weinberg. In pratica possiamo passare dal fotone allo Z0 (e viceversa) operando una rotazione dell’angolo di Weinberg. A questo punto è lecito chiedersi quale sia la relazione tra l’angolo di W., la carica elettrica e e le cariche deboli dei bosoni. Questa relazione si ricava richiedendo che il fotone si accoppi a fermioni carichi levogiri o destrogiri, ma mai ai neutrini, al contrario di quanto avveniva per le interazioni deboli, come avevamo visto. Non volevo mettere formule in questa mia trattazione, ma la relazione finale, quella di unificazione, la devo per forza scrivere; essa è:
e = g sin w,

dove g è la carica debole e w è l’angolo di Weinberg.
Alcuni commenti.
Commento 1. L’angolo w viene misurato in diversi modi, ad esempio con l’interazione neutrino-elettrone oppure dal rapporto tra le masse dei W(+-) e dello Z0. Sperimentalmente si trova che (sin w)2 = 0.25 = ¼. Non è affatto difficile vedere che elevando al quadrato la relazione precedente e risolvendo rispetto a g2, si trova che g2 = \alpha_W = 4 e2= 4 \alpha, dove \alpha_W è la costante e di accoppiamento debole e \alpha quella elettromagnetica. Il loro rapporto è dunque quattro.

Commento 2. E’ bene osservare la seguente cosa: nella vita di tutti i giorni, ovvero a basse energie e temperature, le interazioni elettromagnetiche sono ben distinte da quelle deboli. Esse però diventano a tutti gli effetti una sola interazione, quella elettrodebole, alle alte energie. Quando dico alte energie intendo 100 miliardi di elettronvolt, che corrisponderebbe ad una temperatura di circa un milione di miliardi di gradi. Un po’ caldino, non trovate? Tuttavia durante le prime fasi di vita dell’Universo si è andati anche molto più in là, superando i dieci miliardi di miliardi di miliardi di elettronvolt (1019 di gigaelettronvolt), corrispondenti ad una temperatura di dieci miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di gradi (1028 gradi), in un tempo compreso in dieci miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di miliardesimi di secondo (10-37 secondi). Fate voi.
The End

4 commenti:

Filippo il mulo ha detto...

Un applauso al nostro Deenee! Clap clap clap.

Anonimo ha detto...

Bravo vecchio. Sono fiero di te.

Anonimo ha detto...

Per Uzio: Tesoro, domani la gurdiamo la partita?

sushi john ha detto...

spacchi bello. ti chiamerò newton, perché sbavi per tutto ciò che di fisico c'è.