Quel cortile, diavolo, con quegli alberi. Grandi platani che sorpassano perfino il tetto e chissà cosa si vede dall'altra parte. Adesso hanno asfaltato dove una volta c'erano i sassi, ma gli alberi li hanno lasciati.
La mia aula dava sul cortile; in particolare dietro alla cattedra del maestro c'erano due grandi finestre, solo che una era parzialmente coperta dalla piccola lavagna. Io sedevo in fondo, quasi in ultima fila, ma riuscivo lo stesso a vedere fuori. La mia aula era al primo piano e gli alberi lo superavano di gran lunga; il maestro parlava, diceva cose che non ricordo perché non le ho mai ascoltate.
Quegli alberi e quel cortile. Autunno, le foglie cadono e restano solo i rami. Rami spogli di alberi vecchi, alberi che da chissà quanto sono là. Il sole filtra pallido in classe e si infila tra i banchi colmi di disegni, colori, pennarelli e gomme per cancellare. Le ombre dei rami si proiettano maligne sulle pareti, dove sono appese le carte geografiche dell'Italia e del mondo.
Io guardo fuori, al di là del maestro; guardo il cornicione opposto: ci devono essere altre classi, dietro a quei muri e a quelle finestre; quindi ci sarà anche qualcun altro che guarda fuori; mi piacerebbe conoscerlo.
Il muro esterno di quelle classi è grigio e sta lentamente cadendo a pezzi; anche le grondaie, tutte arrugginite, non sono messe meglio; lassù sul tetto, dicono, alcuni uccelli hanno fatto il nido, proprio all'imboccatura delle grondaie, perciò quando piove l'acqua filtra attraverso il soffitto. Alcuni giorni fa, poi, è suonato l'allarme antincendio e siamo dovuti uscire tutti in cortile; si vedeva del fumo provenire dal tetto ma non si vedevano fiamme. Questa scuola sta cadendo a pezzi, ho pensato, ma questo cortile mi è caro. E non so perché.
Nemmeno oggi, a quasi vent'anni di distanza, so il perché. Ma quel cortile mi è caro e mi ha fatto molto piacere rivederlo, ieri, dopo tutto questo tempo.
Sembra che alcune cose, anche dopo anni, restino vive dentro di noi, anche senza alcun plausibile motivo.
Comunque, per cambiare discorso, mi sto allenando per migliorare la mia tecnica di far fotografie. Così ieri ho scattato qualche foto a Padova e ho messo in rete quelle venute meglio al solito indirizzo. Purtroppo una è mossa: diavolo, fotografare alla sera è estremamente difficile ed è necessario il cavalletto. Ditemi che ne pensate – a parte quella mossa che ho messo solo perché mi piacevano i colori – perché il vostro prezioso feedback è estremamente importante. E se ne sapete di più, vi prego di consigliarmi.
Detto questo, vi saluto e continuo la mia tesina sulle righe proibite in oggetti astrofisici.
La mia aula dava sul cortile; in particolare dietro alla cattedra del maestro c'erano due grandi finestre, solo che una era parzialmente coperta dalla piccola lavagna. Io sedevo in fondo, quasi in ultima fila, ma riuscivo lo stesso a vedere fuori. La mia aula era al primo piano e gli alberi lo superavano di gran lunga; il maestro parlava, diceva cose che non ricordo perché non le ho mai ascoltate.
Quegli alberi e quel cortile. Autunno, le foglie cadono e restano solo i rami. Rami spogli di alberi vecchi, alberi che da chissà quanto sono là. Il sole filtra pallido in classe e si infila tra i banchi colmi di disegni, colori, pennarelli e gomme per cancellare. Le ombre dei rami si proiettano maligne sulle pareti, dove sono appese le carte geografiche dell'Italia e del mondo.
Io guardo fuori, al di là del maestro; guardo il cornicione opposto: ci devono essere altre classi, dietro a quei muri e a quelle finestre; quindi ci sarà anche qualcun altro che guarda fuori; mi piacerebbe conoscerlo.
Il muro esterno di quelle classi è grigio e sta lentamente cadendo a pezzi; anche le grondaie, tutte arrugginite, non sono messe meglio; lassù sul tetto, dicono, alcuni uccelli hanno fatto il nido, proprio all'imboccatura delle grondaie, perciò quando piove l'acqua filtra attraverso il soffitto. Alcuni giorni fa, poi, è suonato l'allarme antincendio e siamo dovuti uscire tutti in cortile; si vedeva del fumo provenire dal tetto ma non si vedevano fiamme. Questa scuola sta cadendo a pezzi, ho pensato, ma questo cortile mi è caro. E non so perché.
Nemmeno oggi, a quasi vent'anni di distanza, so il perché. Ma quel cortile mi è caro e mi ha fatto molto piacere rivederlo, ieri, dopo tutto questo tempo.
Sembra che alcune cose, anche dopo anni, restino vive dentro di noi, anche senza alcun plausibile motivo.
Comunque, per cambiare discorso, mi sto allenando per migliorare la mia tecnica di far fotografie. Così ieri ho scattato qualche foto a Padova e ho messo in rete quelle venute meglio al solito indirizzo. Purtroppo una è mossa: diavolo, fotografare alla sera è estremamente difficile ed è necessario il cavalletto. Ditemi che ne pensate – a parte quella mossa che ho messo solo perché mi piacevano i colori – perché il vostro prezioso feedback è estremamente importante. E se ne sapete di più, vi prego di consigliarmi.
Detto questo, vi saluto e continuo la mia tesina sulle righe proibite in oggetti astrofisici.
4 commenti:
mmmmmh... feedback...
Non hai messo quelle di voi tre distorti... :)
Comunque quella mossa sarà mossa, ma è la migliore. Sembra processata con Photoshop. E poi quella è una zona particolarmente fotogenica di Padova.
Sushi, mi aspettavo esattamente quello che hai scritto. Sei perfino troppo prevedibile.
Eh, Fili, quelle distorte sono inguardabili (però fanno molto ridere) e se vuoi te le mando via mail. Il problema della foto mossa è che è mossa, nel senso che sarebbe bella se non fosse mossa, o ancora meglio se fosse più mossa. E invece è semplicemente e banalmente mossa.
io mi riferisco alla prima parte del post: bravo deezzle, complimenti, mi è piaciuto così tanto che credevo di averlo scritto io. ricalca molto bene sensazioni che anche io mi ritrovo spesso a provare nei confronti di paesaggio urbano misto a paesaggio naturale misto a ricordi misto a nostalgia misto a solitudine.
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